L’emergenza sanitaria, e il confinamento forzato in casa, ci hanno fatto prendere consapevolezza del fatto che viviamo in spazi troppo piccoli all’interno di città troppo grandi.
Ci siamo resi conto che, anche prima della pandemia trascorrevamo la quasi totalità della nostra esistenza confinati entro quattro mura ( ufficio, casa, bar o palestra).
L’imposizione del lockdown ha innescato un processo di ripensamento delle esigenze e priorità in tema di abitare e del valore degli spazi aperti e del verde pubblico all’interno delle città, come valvola di sfogo ed evasione dal paesaggio artificiale che abbiamo costruito.
La densificazione urbana e la concentrazione delle attività lavorative e dei servizi nelle grandi città hanno portato, nel tempo, alla progressiva riduzione degli spazi domestici al minimo indispensabile per svolgere le funzioni vitali essenziali; ciò ha ampliato notevolmente il gap tra valore intrinseco e valore di mercato dell’abitazione, specialmente nei centri delle grandi capitali mondiali, creando un enorme divario tra potere di acquisto e valore di mercato.
In buona sostanza, un acquirente o un inquilino medio che lavora in una grande città non ha molta scelta e deve farsi andare bene una casa con le caratteristiche che può permettersi il suo portafogli.
L’esempio più evidente è Londra: “ Nei grandi quartieri del business, shopping e hospitality del centro città i cittadini pagano più di 1000 sterline per l’affitto di una stanza in uno shared flat. Tutto questo per vivere vicino al proprio ufficio, in zone ben servite di mezzi pubblici, ristoranti, locali e negozi”.
Il caso più eclatante al livello mondiale è quello di Hong Kong dove un metro quadro in centro costa in media 31.863.48 dollari, l’affitto medio al mese per un bilocale è di 2.211 dollari, mentre gli stipendi medi annui ammontano a 45.605 dollari.
L’emergenza sanitaria ha però messo questo modello in discussione, aprendo per molti la porta verso un nuovo modo di vivere, dove casa e ufficio coincidono, le distanze si annullano e i centri urbani si svuotano.
Ormai da parecchi mesi in molti si domandano come cambieranno le case nel post covid.
Tuttavia la domanda corretta non è come cambierà la casa post covid ma come siamo cambiati noi e le nostre priorità.
Un dato interessante è quello fornito dai maggiori portali di annunci immobiliari: la domanda di proprietà con uno spazio esterno negli ultimi mesi è più che raddoppiata rispetto agli stessi mesi dell’anno scorso.
Anche la ricerca di più ampie metrature, principalmente in aree periferiche o extraurbane è un fattore che lascia intendere come a cambiare non sia la casa in sé, ma i parametri di ricerca che noi riteniamo importanti, fondati su nuove priorità ed esigenze. Molte delle quali dipendono anche da come anche il mondo del lavoro sia mutato con la pandemia.
Se è vero che molti più professionisti potranno gestire in remoto parte, se non tutto, il proprio lavoro – questo impatterà inevitabilmente sulle abitazioni. Sempre più componenti dell’ufficio entreranno nelle nostre case, sedie ergonomiche, monitor per pc, stampanti; aumenterà la necessità di infrastrutture più potenti, come la fibra ottica e, di conseguenza, i consumi energetici.
Ma, nel dettaglio, come cambieranno ne nostre case? “Cambierà il design degli arredi per ottimizzare l’uso degli spazi, cambierà l’illuminazione e la ventilazione, dando priorità a quelle naturali, ci sarà una maggiore ricerca di materiali per l’isolamento acustico, come serramenti o pareti divisorie. Gli ambienti domestici diventeranno più flessibili per incorporare le esigenze lavorative; ma vi sarà anche una razionalizzazione dei consumi di materiali, meno documenti da stampare e più lavoro in cloud”.
Trascorrere più tempo a casa porterà inevitabilmente a incrementare l’attenzione alla qualità degli spazi domestici, ciò vale sia per l’acquisto che per gli affitti, la ricerca di più ampie superfici vetrate, di una migliore esposizione e di una maggiore presenza di verde sia esterno che interno
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